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Con il codice del Terzo settore viene superata la stratificazione normativa e la presenza di molteplici norme fiscali di riferimento che avevano creato non poca confusione in merito alla distinzione tra attività profit e non profit.
Si pensi, ad esempio, alle attività oggettivamente commerciali che sono state svolte mediante strumenti nati per lo sviluppo delle attività non profit (come le ONLUS, il cui regime con valenza solo fiscale verrà superato al termine della fase transitoria.
Il CTS fornisce una disciplina tributaria coordinata con le disposizioni civilistiche, che si occupano di elencare le attività principali di interesse generale (art. 5) e le attività secondarie e strumentali (art. 6, saranno oggetto di specifici provvedimenti attuativi, con superamento delle attività «connesse» o «marginali» attualmente disciplinate a livello settoriale).
I criteri per individuare la non commercialità delle attività svolte dagli ETS sono individuati dai commi 2, 3, 4 e 6 dell’art. 79 del CTS. In particolare, in base a tali disposizioni:
si considerano non commerciali le attività di interesse generale svolte dall’ETS a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi, tenuto conto anche degli apporti della pubblica amministrazione e salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento (art. 79, comma 2);
si considerano non commerciali le attività di ricerca scientifica di particolare interesse sociale con reinvestimenti degli utili nell’attività (in base ai criteri dettati dall’art. 79, comma 3);
non concorrono alla formazione del reddito degli ETS non commerciali le attività di raccolte pubbliche occasionali di fondi e i contributi o apporti erogati dalle amministrazioni pubbliche per le attività di cui ai citati commi 2 e 3 (art. 79, comma 4);
si considerano non commerciali, per gli ETS a carattere associativo, le quote associative che non assumono natura di corrispettivo specifico (art. 79, comma 6).
Le ipotesi di non commercialità descritte dall’art. 79 incidono sulla complessiva qualificazione dell’ETS sul piano tributario.
A prescindere dalle previsioni statutarie, infatti, l’ETS deve considerarsi commerciale laddove, nel medesimo periodo d’imposta, i proventi derivanti dalle attività di interesse generale svolte in forma d’impresa e delle attività secondarie prevalgano sulle entrate derivanti dalle attività di interesse generale svolte con modalità non commerciali (art. 79, comma 5).
Tra le entrate di natura non commerciale devono includersi i contributi, le sovvenzioni, le liberalità, le quote associative ed ogni altra entrata assimilabile, nonché il valore normale delle cessioni di beni o prestazioni di servizi effettuati con modalità non commerciali.
Dal computo delle entrate commerciali devono essere escluse, per espressa previsione legislativa, quelle derivanti dalle attività di sponsorizzazione (effettuate con i criteri e nei limiti che saranno definiti dal decreto ministeriale di cui all’art. 6 del CTS).
Ulteriori ambiti di attività non commerciale sono previsti per OdV e APS.
Le prime accedono ad una serie di attività non commerciali aggiuntive (la vendita di beni acquisiti da terzi a titolo gratuito, la cessione di beni prodotti da assistiti e volontari e la somministrazione di alimenti e bevande in occasione di raduni, manifestazioni e celebrazioni a carattere occasionale).
Per le seconde si considerano non commerciali le attività istituzionali eseguite a fronte di corrispettivi specifici (a meno che non riguardino beni o servizi tipicamente commerciali, dettagliatamente elencati dall’art. 85), le cessioni di pubblicazioni destinate ad associati e loro familiari conviventi, le somministrazioni di alimenti o bevande presso le sedi istituzionali (APS riconosciute dal Min. Interno ai sensi dell’art. 3, comma 6, lett. e) della L. n. 287/1991) e la vendita di beni acquisiti da terzi a titolo gratuito, curata direttamente dall’APS senza intermediari.
Le suddette attività, per gli altri ETS, rientrano tra le attività diverse di natura commerciale.